L’accertamento fiscale è una procedura praticata dall’Amministrazione finanziaria per verificare la base imponibile dei contribuenti, dalla quale poi si determina l’aliquota da applicare per calcolare la corretta imposta da versare.
Il contribuente presenta la propria dichiarazione dei redditi mediante autocertificazione, determinando la propria base imponibile e i singoli redditi. Tale mansione può essere svolta in prima persona o rivolgendosi ad un consulente qualificato. L’Amministrazione finanziaria controlla che la dichiarazione sia stata presentata e sia formalmente corretta, svolgendo perciò un compito accertativo (in caso di errata dichiarazione) o sostitutivo (in caso di omessa dichiarazione).
Vi sono vari tipi di accertamento: analitico, induttivo, misto analitico-induttivo e d’ufficio.
Accertamento Analitico
Indice
(Art. 38 e art. 39 c. 1 DPR 600/73, art. 54 c. 2 DPR 633/72)
L’accertamento viene definito analitico quando avviene mediante la rettifica delle singole componenti, sia attive che passive, che compongono il reddito di impresa o di lavoro autonomo. Può essere diretto verso tutte le tipologie di contribuenti ed ha carattere ordinario, cioè applicabile in quei casi in cui non ricorrano altre ipotesi specifiche, contraddistinte da particolari gravità, che necessitino di un accertamento induttivo o sintetico. L’accertamento analitico è, quindi, la rettifica delle singole componenti reddituali per rideterminare il reddito complessivo imponibile. Avviene mediante il ricalcolo di specifici elementi di singole categorie reddituali, che porta allo scomputo, totale o parziale, di deduzioni e detrazioni che non sarebbero spettanti, ma comunque indicate in dichiarazione.
L’accertamento analitico, per i soggetti passivi Iva, avviene rettificando le dichiarazioni presentate nel caso in cui emerga un’imposta inferiore a quella dovuta o un’eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante.
L’accertamento di tipo analitico può essere diretto sia verso contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, che verso soggetti non obbligati.
Nel caso di soggetti obbligati alla tenuta, la metodologia di accertamento parte dal presupposto che il complesso contabile del contribuente non sia considerato inattendibile, per cui vengono rettificate le singole poste risultanti in contabilità. È applicabile se:
– gli elementi indicati nella dichiarazione differiscono da quelli contabili;
– non sono state correttamente applicate le disposizioni in materia di determinazione del reddito d’impresa o di lavoro autonomo;
– l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione risultano in modo certo e diretto dai verbali e dai questionari o da altri atti e documenti in possesso dell’Ufficio, ovvero dalle ispezioni o da altre verifiche.
Per i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, tale metodologia accertativa è unitaria per tutte le imposte, sia dirette (Irpef/Ires e Irap), che indirette, infatti può essere richiesta dall’Amministrazione anche ai fini Iva, ex art. 54 c. 2 e 3 del DPR 633/72.
In riferimento ai soggetti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili (cioè persone fisiche non soggette a Iva, società semplici e assimilate, enti non commerciali), questo tipo di accertamento è limitato alle sole imposte dirette ed è disciplinato dalle disposizioni dell’art. 38 e dell’art. 40 del DPR 600/73. L’incompletezza, la falsità e l’inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione possono essere desunte dalla dichiarazione stessa, dal confronto con le dichiarazioni relative agli anni precedenti, dai dati e dalle notizie comunque in possesso degli Uffici, ottenute anche mediante l’applicazione dei poteri istruttori, di dati raccolti e comunicati dall’anagrafe tributaria e sulla base di presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti.
Accertamento Induttivo
(Art. 39 c. 2 DPR 600/73, art. 55 DPR 633/72)
L’accertamento induttivo, disciplinato al comma 2 dell’art. 39 del DPR 600/73, si applica esclusivamente ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili ed è rivolto ai redditi derivanti da attività d’ impresa, anche minore e di lavoro autonomo in senso stretto. Può essere applicato sia per le imposte dirette che per l’Iva e ne esistono due tipologie: induttivo puro e misto analitico-induttivo.
Accertamento Induttivo Puro
(Art. 39 comma 2 DPR 600/73)
Un accertamento è qualificabile come induttivo puro o extracontabile quando la rettifica del reddito d’impresa o di lavoro autonomo prescinda in tutto o in parte dalle risultanze contabili. Tale tipologia di accertamento può verificarsi partendo da dati o notizie raccolti dall’Amministrazione finanziaria o comunque venuti a sua conoscenza, oppure su presunzioni anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (presunzioni non qualificate o super semplici). Il metodo induttivo si basa su un procedimento logico, volto a costruire l’imponibile globale non analizzandone le singole parti semplici (come avviene con l’accertamento analitico), ma utilizzando nella costruzione tutte le notizie, le prove ed i dati anche extracontabili, comunque raccolti.
Con questo strumento accertativo, l’Amministrazione finanziaria è legittimata alla rettifica del reddito con minor rigore rispetto all’accertamento analitico o a quello misto e questo rende questo metodo induttivo, potenzialmente, il più lesivo dei diritti del contribuente. Perciò il suo utilizzo è legittimo solo se ricorrono le violazioni particolarmente gravi, che sono tassativamente previste dal c. 2 dell’art .39 del DPR 600/73. Al verificarsi di queste condizioni, il reddito può essere determinato sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolte o a conoscenza dell’Ufficio, prescindendo in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili ed utilizzando presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
E’ evidente come questo sia un sistema eccezionale, che si pone all’estremo opposto di quello analitico. È però applicabile, pena illegittimità, solo in presenza di specifici presupposti previsti ex lege, quali:
– mancata indicazione del reddito d’impresa o di lavoro autonomo in dichiarazione;
– rilevazione mediante verbale d’ispezione di uno dei seguenti fatti:
a) omessa tenuta della contabilità;
b) sottrazione all’ispezione di una o più scritture contabili obbligatorie;
c) scritture contabili non disponibili per forza maggiore;
– rilevazione, mediante verbale di ispezione, della generale inattendibilità della contabilità;
– inottemperanza del contribuente agli inviti disposti dagli Uffici;
– irregolarità dichiarative relative agli studi di settore.
Nel caso dell’Iva, l’art 55 del DPR 633/72 prevede queste condizioni che permettono il ricorso a tale metodo accertativo:
– omessa dichiarazione o indicazione in dichiarazione dell’ammontare imponibile delle operazioni e dell’ammontare degli acquisti e importazioni, senza le specificazioni e distinzioni previste dalla legge (salvo che non vi sia stata la regolarizzazione, entro il mese successivo a quello della presentazione della dichiarazione;
– il contribuente non ha tenuto, o ha rifiutato di esibire o ha comunque sottratto all’ispezione, i registri e le altre scritture contabili, o alcuni di quelli che sono obbligatori da tenere ai fini Iva, o delle imposte sui redditi o il libro giornale;
– il contribuente non ha emesso le fatture per una parte rilevante delle operazioni o non ha conservato o ha rifiutato di esibire o sottratto all’ispezione, tutte o una parte rilevante delle fatture emesse;
– qualora le omissioni, le false o inesatte indicazioni o annotazioni o le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione siano particolarmente gravi, numerose e ripetute, tali da rendere inattendibile la contabilità del contribuente;
-in caso di applicazione degli studi di settore.
È molto frequente il verificarsi di queste situazioni, tanto in riferimento all’accertamento di imposte dirette che dell’Iva, perciò è importante capire bene il concetto di inattendibilità generale della contabilità. Si tratta di tutte quelle situazioni in cui le omissioni e le false indicazioni accertate, dovute alle irregolarità formali delle scritture contabili, sono così gravi, numerose e ripetute, da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture, per mancanza di quelle garanzie proprie di una contabilità sistematica. È essenziale capire che la rettifica induttiva non legittima ogni irregolarità e che i criteri applicati dagli Uffici per la determinazione in via induttiva del reddito sono variabili in base alle caratteristiche del soggetto interessato e dell’attività che svolge.
Accertamento Analitico-Induttivo
(Art. 39 c. 1 lett. d DPR 600/73 e art. 54 c. 2 DPR 633/72)
L’accertamento è definito analitico-induttivo quando la contestazione dell’evasione avviene a seguito del ricorso a presunzioni semplici, purché qualificate, cioè dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Viene disciplinato dal comma 1 lettera d dell’art. 39 del DPR 600/73 e dal comma 2 dell’art. 54 del DPR 633/72. Si configura come una sottocategoria dell’accertamento induttivo, anche se condivide alcuni aspetti applicativi con quello analitico.
Si ricorre a questo metodo accertativo quando, nonostante la dichiarazione sia stata presentata e le scritture contabili esistano e risultino nel complesso formalmente corrette e attendibili, si verifichino le seguenti situazioni:
– dai controlli effettuati (ispezioni o altre verifiche) risulti l’esistenza di singole attività non dichiarate o l’inesistenza di singole passività dichiarate;
– esistano gravi incongruenze fra i ricavi, i compensi, i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta o dagli studi di settore.
Questi ultimi rappresentano una particolare applicazione dell’accertamento analitico-induttivo.
A livello Iva, le omissioni e le inesattezze possono essere desunte sulla base della presunzione legale di cessione e di acquisto o anche sulla scorta di presunzioni semplici qualificate. Di base, viene applicato dall’Amministrazione finanziaria un ragionamento di tipo presuntivo che, partendo da dati analitico- contabili, ridetermina induttivamente il reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Ma soltanto se la falsità, l’incompletezza o l’inesattezza degli elementi indicati dal contribuente non siano così gravi, numerose e ripetute da inficiare l’attendibilità delle scritture contabili.
Le principali differenze tra il metodo induttivo puro e quello misto analitico-induttivo, sono nel fatto che quello puro, ai fini della sua legittimità, richiede la sussistenza delle tassative condizioni previste dal c. 2 dell’art. 39 del DPR 600/73, mentre quello misto può essere generalmente sempre applicato. Inoltre, l’accertamento misto postula la dimostrazione da parte dell’Ufficio del carattere qualificato del ragionamento presuntivo, mentre nel caso dell’induttivo puro l’Ufficio può anche avvalersi di presunzioni semplicissime, prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.
Accertamento D’Ufficio
(Art. 41 DPR 600/73)
Pur rientrando di fatto tra i metodi accertativi di tipo induttivo puro, l’accertamento d’ufficio merita di essere analizzato con particolare attenzione.
Se l’attività di accertamento, in via generale, accerta ed ammette la regolare presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, gli Uffici delle Imposte, anche nel caso in cui le scritture contabili siano tenute regolarmente, possono procedere all’accertamento d’ufficio (art. 41, D.P.R. n. 600/1973) in particolari situazioni, cioè:
– omessa presentazione della dichiarazione;
– presentazione di dichiarazioni nulle.
Dichiarazione omessa
La dichiarazione è omessa quando non viene presentata dal contribuente.
Essa giustifica l’attribuzione all’Amministrazione finanziaria di maggiori poteri nella fase di verifica. La dichiarazione non è considerata omessa se viene presentata entro 90 giorni dalla scadenza del termine. È importante ricordare che le dichiarazioni “telematiche”, cioè le dichiarazioni fiscali presentate dall’intermediario, ma poi scartate dal sistema telematico, sono sempre da considerarsi omesse ai fini fiscali. In particolare, lo scarto per errori da parte del sistema telematico non esime l’utente dal ripetere tempestivamente la trasmissione. Pertanto, in caso di mancata ripresentazione del modello scartato, l’Amministrazione finanziaria è comunque legittimata ad accertare induttivamente l’imponibile non dichiarato.
Dichiarazione nulla
La dichiarazione è nulla se: – non viene redatta su stampati conformi ai modelli ufficialmente approvati; – non reca la sottoscrizione del contribuente o di chi ne ha la rappresentanza legale o negoziale. La nullità in tale ultimo caso è sanata se la dichiarazione è sottoscritta entro 30 giorni dall’invito dell’Ufficio. Pertanto tale ipotesi è da considerarsi sostanzialmente marginale.
Invece, seppur poco frequente, è grave la fattispecie di errore sul modello, ipotesi sottovalutata dagli operatori, perché può ricorrere in casi particolari, ma non così improbabile: si pensi all’utilizzo del Modello approvato per l’anno precedente, nel caso di operazioni societarie straordinarie. Una volta constatata l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, l’Amministrazione finanziaria assume la legittimazione a utilizzare qualsiasi metodo di determinazione del reddito per far valere le proprie ragioni, sulla base di tutti i dati e notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza; di contro, al contribuente spetta l’onere di provare che il reddito, anche presuntivamente determinato, non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quello indicato dall’Ufficio (Cass. Ord. 30 marzo 2012, n. 5213).
Per comprendere l’ampia portata del concetto di “qualsiasi metodo”, si pensi all’ ipotesi abbastanza frequente e ormai consolidata, quale l’indagine bancaria.
Infatti, nel caso di accertamento d’ufficio, è legittima la determinazione dell’imponibile basata sulle movimentazioni bancarie derivanti dai conti correnti intestati all’amministratore della società. Tali indagini bancarie sono da ritenersi legittime anche se estese a soggetti diversi dal contribuente “accertato” quali, ad esempio, i congiunti del contribuente stesso o gli amministratori della società. In caso di conti intestati a terzi, l’Ufficio deve comunque fornire la prova che tale conto bancario sia nella effettiva disponibilità del contribuente, al quale possono essere attribuite le movimentazioni bancarie fiscalmente rilevanti (Cass. Ord. 20 dicembre 2018, n. 32974).
F.R.
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