Nello svolgimento della propria attività le imprese sostengono costi che possono essere deducibili ai fini fiscali, ma devono possedere determinati requisiti, i quali fanno riferimento al rispetto dei principi di competenza, certezza e determinabilità, inerenza, contabilizzazione.
In ogni caso, i costi dovranno essere correlati ai ricavi cui si riferiscono. Infatti, i costi concettualmente deducibili per la determinazione del reddito d’impresa, sono esclusivamente quelli riferiti all’attività da cui il reddito stesso deriva e non quelli riguardanti i consumi o gli investimenti privati dell’imprenditore o di terzi (ad esempio, nel caso di redditi da lavoro dipendente, i costi diventano irrilevanti).
PRINCIPIO DI COMPETENZA
Indice
Il requisito della competenza dei costi in caso di deducibilità è attestato dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) 11, rubricato come “Finalità e postulati del bilancio d’esercizio”, che richiama l’art. 2423-bis, primo comma, n. 3) del codice civile. Stabilisce che si deve tenere conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento. È dunque la competenza il criterio temporale da seguire per l’imputazione di componenti positivi e negativi di reddito a conto economico, per la determinazione del risultato d’esercizio. Questo richiede che i costi debbano essere correlati ai ricavi dell’esercizio. L’OIC 18 riporta un esempio di correlazione tra costi e ricavi e riguarda la rilevazione di risconti: l’iscrizione di risconti attivi comporta la rettifica di costi iscritti al conto economico, al fine di correlarli a ricavi di competenza di esercizi futuri.
Il principio della competenza deve essere sempre correlato a quello della “prudenza” e perciò: “la valutazione delle voci secondo prudenza comporta la ragionevole cautela nelle stime in condizioni di “incertezza”. Inoltre, se l’art. 2423-bis, primo comma, n. 2), c.c., dispone che si possano iscrivere esclusivamente gli utili effettivamente realizzati alla data di chiusura dell’esercizio, il primo comma, n. 4), dello stesso articolo, prevede che si deve tenere conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura dell’esercizio stesso.
Si delinea così un effetto asimmetrico in fase di contabilizzazione, imponendo una prevalenza del principio della prudenza rispetto a quello della competenza. Infatti, gli utili non realizzati non devono essere contabilizzati, mentre tutte le perdite, comprese quelle non pienamente realizzate, devono risultare in bilancio.
Fiscalmente, il principio di competenza è disposto nell’art. 109 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), tenendo conto che l’attività dell’impresa viene suddivisa in esercizi, ai quali corrisponde un autonomo periodo d’imposta. Secondo questo articolo, i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza. Ma, qualora non sia ancora certa o determinabile in modo obiettivo l’esistenza di ricavi, spese ed altri componenti del reddito, nell’esercizio di competenza, il loro ammontare concorrerà a formare il reddito nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni. Da ciò si desume che in ambito civilistico e fiscale la nozione di competenza non coincide, poichè il codice civile impone l’imputazione a conto economico dei costi anche se solo probabili, mentre il TUIR permette la deducibilità dei costi solo se certi e determinabili.
Tuttavia, nella pratica il concetto di competenza ha valenza per escludere che i componenti reddituali vengano imputati all’esercizio solamente seguendo un criterio di cassa, anche se non mancano comunque casi di deroga quali, per esempio:
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tributi deducibili (come IVA indetraibile, registro, ecc.) (Art. 99, comma 1);
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contributi corrisposti ad associazioni sindacali e di categoria (Art. 99, comma 3);
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compensi agli amministratori (Art. 95, comma 5);
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indennità di fine rapporto (Art. 105, commi 1 e 4);
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interessi di mora (Art. 109, comma 7).
Il principio di competenza richiede principalmente che ai ricavi di un esercizio siano contrapposti i relativi costi. Su questo argomento si è espresso anche il Ministero delle Finanze, con la R.M. 2 giugno 1998, n. 52/E ed anche la risoluzione Agenzia delle entrate 12 luglio 2006, n. 91/E, e l’interpello DRE Emilia Romagna n. 909/579 del 2020, chiarendo come siano i costi a dover seguire i ricavi e non viceversa. Di conseguenza, una volta stabilito l’esercizio di competenza dei ricavi, divengono automaticamente deducibili in quello stesso esercizio anche tutti i costi ad esso correlati.
In conclusione, l’art. 109, comma 2 del TUIR, per imputare correttamente l’esercizio di competenza dispone che:
- nel caso di beni mobili, il momento di imputazione dei ricavi e dei costi coincide con la data di consegna o spedizione, intesa come quella di uscita della merce dal magazzino;
- nel caso di beni immobili (e aziende), il conseguimento del ricavo e il sostenimento del costo si avverano alla data di stipulazione dell’atto;
- per le prestazioni di servizi, i corrispettivi si considerano conseguiti e i costi sostenuti alla data di ultimazione della prestazione.
L’eventuale violazione del principio comporta:
- l’obbligo di versamento della maggiore imposta con le relative sanzioni, parametrato all’indeducibilità dei costi dichiarati;
- la possibilità di recuperare la maggiore imposta versata nel periodo d’imposta relativo all’effettiva competenza del costo.
Va inoltre ricordato che, qualora il contribuente abbia contabilizzato un componente negativo nell’esercizio non di competenza, può comunque presentare una dichiarazione integrativa per correggere l’errore.
PRINCIPI DI CERTEZZA E DETERMINABILITA’
L’art. 109 del TUIR dispone anche altri criteri per la deducibilità dei componenti negativi di reddito, cioè che siano certi ed oggettivamente determinabili nell’esercizio di competenza. Tali requisiti si inseriscono coerentemente in un impianto normativo ispirato dall’esigenza generale di certezza dei rapporti tributari, che però, a volte, può portare a soluzioni differenti da quelle del codice civile e dei principi contabili.
È possibile, infatti, che nonostante si siano verificati i momenti di competenza (ad esempio, ultimazione della prestazione), l’esistenza dell’operazione possa comunque essere incerta o il suo ammontare non ancora ben definito, con la conseguenza che il correlato elemento reddituale non può essere imputato al periodo d’imposta.
A questo proposito, l’esempio addotto dalla sentenza della Cassazione dell’8 giugno 2016, n. 11728: a seguito di una controversia di lavoro che si conclude con un verbale di conciliazione dinanzi al giudice del lavoro, la somma dovuta dal datore di lavoro al suo dipendente si deduce dal reddito imponibile nell’anno d’imposta in cui il giudice ha conferito valore esecutivo al verbale, rendendolo immodificabile ed attribuendo agli eventuali oneri che ne derivano carattere di certezza. Non rileva, quindi, che l’atto transattivo sia stato concluso tra le parti nell’esercizio precedente, in quanto non connotato del carattere di definitività.
Perciò i requisiti di certezza e determinabilità devono sussistere contemporaneamente, come un tutt’uno. Una diversa soluzione comporterebbe che “certezza” e “oggettiva determinabilità” si riferiscano a due aspetti profondamente diversi, attinenti l’uno al “se” e l’altro al “quanto” del componente reddituale. Quanto al requisito dell’oggettiva determinabilità, la condizione per la deducibilità del costo si intende soddisfatta in presenza di una ragionevole stima circa l’ammontare dell’elemento reddituale in esame e può ritenersi integrata quando al termine dell’esercizio si sono verificati gli elementi per calcolarla con precisione.
PRINCIPIO DI INERENZA
Il principio di inerenza è il presupposto necessario per la deducibilità dei componenti negativi, dato che il TUIR, art. 109 comma 5, dispone che i componenti negativi sono deducibili, a condizione che e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano componenti positivi che concorrono a formare il reddito.
Per il riconoscimento della deducibilità del costo in regime d’impresa, deve sussistere una stretta relazione di causa ed effetto tra i componenti negativi e le attività o i beni da cui derivano componenti positivi tassati. Va sottolineato che il principio di inerenza deve essere valutato in modo estensivo, ossia facendo riferimento non ai ricavi, ma all’intera attività svolta e alla struttura organizzativa assunta dall’impresa, valutando tutti gli elementi che possono risultare utili.
In pratica, occorre valutare se tra spesa e attività o beni da cui derivano ricavi sussiste una relazione immediata e diretta.
Poiché l’inerenza deve intercorrere tra i componenti negativi e le attività o i beni da cui derivano componenti positivi tassati (e non tra i componenti negativi e i componenti positivi tassati), ne deriva che sono deducibili anche i componenti negativi che si riferiscono ad attività o beni da cui, in proiezione futura, deriveranno componenti positivi che concorreranno a formare il reddito.
In tema di inerenza, la Suprema Corte, Sez. trib. ord. 11 gennaio 2018, n. 450, ha dettato il principio secondo il quale “in tema di imposte sui redditi, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art. 75, comma 5, del D.P.R. n. 917 del 1986, ora art. 109, comma 5, del medesimo D.P.R., riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo”.
Questa sentenza è stata salutata con favore, in quanto ha messo fine al comportamento tenuto fino ad allora dagli Uffici fiscali, legando e vincolando il concetto di inerenza all’aspetto quantitativo e alla congruità della spesa, nonché all’antieconomicità del costo. Nei fatti, se il costo sostenuto dall’impresa, rispetto all’attività esercitata, è di importo cospicuo, allora sussiste la mancanza di inerenza, individuata in tutte quelle situazioni in cui non viene rilevato quel necessario collegamento tra il componente negativo di reddito e la logica economica adottata dall’impresa nella sua gestione, finalizzata alla produzione di reddito. La sentenza, invece, evidenzia il carattere qualitativo dell’inerenza, non avendo nesso logico considerare indeducibile un costo, perché sproporzionato, incongruo o eccessivo.
LA CONTABILIZZAZIONE
Ultimo requisito necessario per la deducibilità fiscale di un componente negativo riguarda l’iscrizione a conto economico.
Infatti, il comma 4 dell’art. 109 del TUIR, si concentra sul principio di derivazione del reddito dai risultati del bilancio, per cui la deduzione delle spese e degli altri componenti negativi è subordinata alla condizione che detti elementi reddituali risultino imputati a conto economico nell’esercizio.
Si considerano comunque allocati nel conto economico, i componenti imputati direttamente a patrimonio per effetto dei principi contabili adottati dall’impresa.
Conseguenze della mancata iscrizione a conto economico:
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se il componente non risulta indicato nel conto economico, non può essere considerato deducibile né dal contribuente né dall’Amministrazione finanziaria, in caso di accertamento;
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se il costo, invece, è iscritto in conto economico, ma in misura ridotta rispetto alla quota fiscalmente deducibile, la deduzione sarà limitata al valore iscritto.
Tuttavia, sussistono delle deroghe al principio rappresentato dall’obbligo di iscrizione del componente negativo a conto economico, e quindi sono comunque deducibili i costi:
a) imputati a conto economico di un esercizio precedente, se la deduzione è stata rinviata in conformità alle norme che ne dispongono il rinvio;
b) non imputabili a conto economico, ma che sono deducibili per disposizione di legge, la quale ne consente il rinvio;
c) imputati direttamente a patrimonio per effetto degli OIC.
Alcuni esempi di costi che, non rispettando i suddetti requisiti, sono considerati indeducibili:
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sanzioni UE – Le sanzioni pecuniarie irrogate dalle autorità UE sono indeducibili dal reddito d’impresa, in quanto trattasi di oneri non inerenti all’attività d’impresa;
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sanzioni antitrust – La sanzione pecuniaria comminata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, avendo funzione repressiva, non è deducibile dal reddito d’impresa, sia per mancanza di inerenza, sia perché la sua deducibilità la trasformerebbe in un risparmio d’imposta ovvero in un vantaggio fiscale;
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fatture non dettagliate – In tema di imposte sui redditi, l’irregolarità della fattura (nella specie emessa con causale “per lavori di muratura eseguiti presso vs. cantiere”), non redatta in conformità ai requisiti di contenuto prescritti dall’art. 21 del D.P.R. n. 633/1972, fa venire meno la presunzione di veridicità di quanto ivi rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo, per cui l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati;
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operazioni oggettivamente inesistenti – In tema di imposte sui redditi e con riguardo a operazioni oggettivamente inesistenti, grava sul contribuente l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi, relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (nella specie, è stato escluso che la società avesse fornito la prova della fittizietà dei componenti positivi di reddito derivanti da operazioni accertate come mai compiute, avendo anzi sempre dedotto di avere dimostrato l’effettiva realizzazione delle attività sottese alle fatture accertate come fittizie);
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atto o fatto illecito – È vietata la deducibilità di costi e spese comunque inerenti all’attività e funzionali alla produzione dei relativi proventi, nel caso in cui l’attività nel suo complesso ovvero il singolo atto o fatto illecito costituiscano un illecito penalmente rilevante;
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dipendenti in nero – In proporzione al costo del personale irregolare si accertano maggiori ricavi;
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fatture in copia – La deduzione dei costi è ammessa solo ed esclusivamente in presenza di fattura originale, che deve essere conservata per disposizione di legge.
F.R.
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